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Stato Pontificio (752-1870) | |||||||||
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Stato Pontificio (752-1870)from the Wikipedia | Read original article |
Coordinate: 42°49′16″N 12°36′10″E / 42.821111°N 12.602778°E
Stato Pontificio | ||||
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Dati amministrativi | ||||
Nome completo | Stato Pontificio, Stato Ecclesiastico o Stato della Chiesa | |||
Nome ufficiale | Patrimonium Sancti Petri, Status Ecclesiasticus, Stato Pontificio |
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Lingue parlate | de facto latino e umbro, poi italiano mediano e italiano | |||
Inno | Noi vogliam Dio (sino al 1857) Gran Marcia Trionfale (1857-1870) |
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Capitale | Roma | |||
Dipendente da | Impero bizantino e Impero carolingio nell'Alto Medioevo | |||
Dipendenze | Ducato di Puglia, Calabria e Sicilia, Regno di Napoli[1], Regno d'Inghilterra, Corona d'Aragona, Regno d'Ungheria, Regno del Portogallo[2], Domini dell'Ordine Teutonico, Regno di Sardegna e Corsica, sino al 1299, quando, sotto Bonifacio VIII, l'Isola passò a Giacomo II d'Aragona. | |||
Politica | ||||
Forma di governo | Monarchia assoluta elettiva teocratica | |||
Papa | Elenco | |||
Organi deliberativi | Elenco | |||
Nascita | 752 con Stefano II | |||
Causa | Donazioni carolinge | |||
Fine | 1870 con Pio IX | |||
Causa | Presa di Roma | |||
Territorio e popolazione | ||||
Bacino geografico | Italia centrale e alcune zone dell'Italia settentrionale | |||
Territorio originale | Lazio | |||
Massima estensione | Oltre 44.000 km2 nel 1649, dopo la perdita, a cavallo fra il XV e XVI secolo, di alcune città padane cedute in feudo ai Farnese ed agli Estensi e alla successiva acquisizione, o riacquisizione, dei Ducati di Ferrara, Urbino e Castro. Tale superficie fu mantenuta fino al 1791, anno delle annessioni di Avignone e del Contado Venassino alla Francia. Nel 1859 lo Stato aveva un'estensione di 41.740 km², mentre alla vigilia dell'incorporazione al regno d'Italia (1870) non superava i 12.100 km2 | |||
Economia | ||||
Valuta | Baiocco, Bolognino, Giulio, Grosso, Scudo, Lira | |||
Commerci con | Italia, Mediterraneo occidentale, Adriatico | |||
Esportazioni | vino, manufatti, grano, ferro | |||
Importazioni | armi, spezie, seta, oro, marmo, gioielli | |||
Religione e società | ||||
Religioni preminenti | Cristianesimo | |||
Religione di Stato | Cristianesimo fino al luglio 1054, poi cristianesimo cattolico | |||
Religioni minoritarie | arianesimo, ebraismo | |||
Classi sociali | clero, patrizi, cittadini, popolo | |||
Evoluzione storica | ||||
Preceduto da | Ducato romano Regno longobardo Esarcato d'Italia |
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Succeduto da | Regno d'Italia |
Lo Stato Pontificio, detto anche Stato della Chiesa o Stato Ecclesiastico, è l'entità statuale costituita dall'insieme dei territori su cui la Santa Sede esercitò il proprio potere temporale dal 752 al 1870.
Il suo prestigio e la sua influenza sullo scacchiere politico europeo conobbero periodi di peso durante il millennio della sua esistenza; la sua proiezione internazionale uscì dai limiti territoriali che le circostanze storiche gli avevano assegnato nell'ambito del Sacro Romano Impero, tra il Medioevo e l'Età Moderna.
I vincoli di vassallaggio dettati dalla Santa Sede condizionarono talora importanti stati autonomi come il Regno di Sicilia, il Regno di Napoli, il Regno d'Inghilterra, il Regno del Portogallo, la Corona d'Aragona, il Regno di Ungheria e altri stati relativi al periodo di relazione vassallatica con il sovrano dello Stato Pontificio, il papa, verso cui diversi re ed imperatori dovettero prostrarsi.
Lo Stato Pontificio terminò la sua esistenza nel 1870, con la conquista a seguito di ripetuti attacchi dell'esercito sabaudo (che nel biennio 1859-1860 sottrasse tre Legazioni), con la Presa di Roma e la successiva annessione della quarta Legazione e del Circondario di Roma[3].
Le origini del dominio temporale dei Papi possono essere considerate sotto due aspetti, uno di fatto e l'altro di diritto:
A partire dal IV secolo (dopo l'Editto di Milano) la Diocesi di Roma divenne proprietaria di immobili e terreni, frutto delle donazioni dei fedeli. Il patrimonio terriero del vescovo di Roma era denominato Patrimonium Sancti Petri perché le donazioni erano indirizzate ai santi Pietro e Paolo. Nel VI secolo aveva assunto un'estensione di rilievo.
Per approfondire, vedi Ducato romano. |
Tra la guerra di riconquista dell'Italia da parte dei Bizantini, iniziata nell'Urbe con la presa del generale Belisario nel 536 (guerra greco-gotica), e l'alleanza di papa Stefano II con il re dei Franchi Pipino il Breve stipulata alla metà dell'VIII secolo, la città fece parte dell'Esarcato d'Italia. Il papa era un cittadino dell'impero; la sua elezione era sottoposta all'approvazione imperiale. Rispetto ai suoi territori, era giuridicamente un semplice possidente. Il legittimo proprietario era l'imperatore bizantino. Il Patrimonium Sancti Petri consiste, in questa fase storica, nei latifondi gestiti dal vescovo di Roma come possesso privato. Si distingue dal patrimonium publicum, ovvero i latifondi gestiti dai militari bizantini (duces e magister militum) e dai latifondi delle arcidiocesi di Ravenna e di Milano.
Secondo la ripartizione dell'Italia voluta dall'imperatore Maurizio (582-602), l'Esarcato si componeva di sette ducati, ciascuno comandato da un dux o magister militum. Roma era capoluogo del Ducato romano. L'Esarcato d'Italia aveva due capitali: una politica, Ravenna, ed una religiosa, Roma. I bizantini decisero di proteggere solamente Ravenna, lasciando progressivamente Roma abbandonata a se stessa. Il vescovo dell'Urbe si trovò a dover supplire nell'amministrazione e nel mantenimento della città. Di fatto il pontefice iniziò a svolgere funzioni politiche nel proprio territorio.
Il pontefice vide così aumentare le proprie prerogative, lasciando al dux un ruolo prettamente militare[6]. La debolezza della classe senatoriale, decimata dalle guerre gotiche ed emigrata in gran parte a Costantinopoli, la lontananza da Roma dell'esarca (che manteneva la propria residenza a Ravenna) e, non ultimo, il prestigio personale di alcuni grandi papi, fecero sì che il pontefice divenne, di fatto, la massima autorità civile del Ducato romano, affiancandosi, e in taluni casi contrapponendosi, alla figura dell'imperatore.
Grande figura del tempo fu Gregorio Magno (590-604): egli riorganizzò l'amministrazione pontificia, le attività ecclesiastiche nella città e i possedimenti terrieri che consentivano alla Chiesa di farsi carico dell'assistenza ai cittadini. Per quanto riguarda la difesa della città, il pontefice promosse la creazione di una milizia locale (exercitus), costituita inizialmente dalle scholae (che radunavano i residenti di varie nazionalità), dalle corporazioni di mestiere e dalle associazioni rionali. La milizia, insieme al clero e al populus (i capi delle grandi famiglie) ottenne il diritto di partecipare alle elezioni papali.
Per approfondire, vedi Donazione di Sutri. |
Il potere civile effettivo assunto dal papato fin dall'epoca di costituzione del ducato romano, unitamente a una sempre maggiore debolezza degli imperatori bizantini in Italia, resero possibile quell'atto passato alla storia come la «Donazione di Sutri» (728), voluta dal re longobardo Liutprando e mediante la quale il papa acquistò per la prima volta un potere temporale formalmente riconosciuto. Al di fuori dei suoi possedimenti, la supremazia del pontefice era tuttavia ben lontana dall'essere effettiva: nei territori longobardi i vescovi locali erano pressoché indipendenti, mentre nelle terre bizantine si faceva sentire l'influenza del patriarca di Costantinopoli, spesso al fianco dell'Imperatore.
Il re dei longobardi infatti nel 728 strappò Sutri ed altri castelli nell'alto Lazio alle milizie bizantine e papa Gregorio II chiese ed ottenne, con molto sforzo, la loro restituzione. In realtà quei territori appartenevano giuridicamente all'Imperatore bizantino, ma il Papa, più che all'osservanza di una situazione giuridica formale, era interessato a respingere la troppo vicina potenza longobarda. Il suo timore non era infondato.
Pochi anni dopo infatti, Liutprando, allo scopo di rafforzare il proprio dominio sul territorio a fronte di una situazione interna molto difficile, cinse d'assedio Roma. Nel 739 papa Gregorio III riuscì a farlo desistere solo grazie all'intervento (allora soltanto diplomatico) di Carlo Martello, maestro di palazzo del re dei Franchi. Il pontefice gli indirizzò una lettera in cui comparve per la prima volta la locuzione populus peculiaris beati Petri, riferita alle popolazioni del Ducato Romano, del Ravennate e della Pentapoli[7], riunite insieme in una respublica di cui san Pietro era il protettore e l’eroe eponimo.
Di fronte a una nuova crisi con i longobardi, Zaccaria (741-752), da poco asceso al soglio pontificio, non esitò a trattare direttamente con Liutprando. Nella primavera del 743 i due si incontrarono a Terni. Il pontefice ottenne dal re longobardo, la restituzione per donationis titulo di quattro città da lui occupate (tra cui Vetralla, Palestrina, Ninfa e Norma) e di una parte dei patrimoni della Chiesa in Sabina, ad essa sottratti oltre trent'anni prima dai duchi di Spoleto. Costantinopoli era debole e perdeva continuamente terreno a vantaggio dei Longobardi, mentre le sue relazioni col papato peggioravano ulteriormente. A metà dell'VIII secolo, il regno longobardo volle sferrare il colpo definitivo all'esarca bizantino invadendo il cuore delle terre imperiali italiane. Caddero Ravenna e la Pentapoli (752).
(formazione dello Stato Pontificio)
Con la fine del dominio bizantino in Italia nel 752, le minacce del re dei Longobardi Astolfo nei confronti di Roma si fecero sempre più pericolose, per cui papa Stefano II si recò in Gallia per chiedere il supporto di Pipino il Breve. Nella città di Quierzy (Carisium in latino), Pipino promise al papa che, una volta recuperati i territori conquistati dai Longobardi, li avrebbe donati alla Santa Sede. Tale atto fu denominato Promissio Carisiaca. Incoronato re di Francia, Pipino inviò[8] i suoi eserciti in Italia nel 754 e nel 756. I Franchi riportarono la vittoria sui Longobardi.
In attuazione della Promissio Carisiaca l'Esarcato di Ravenna, le due Pentapoli e le città sulla via Amerina (tra cui Orte, Todi e Perugia), un tempo territori dell'Impero bizantino, ritornarono alla "Sede dell'Apostolo Pietro"[9]. Come ricompensa, Papa Stefano II conferì a Pipino la legittimazione del suo potere con la nomina per sé e per i suoi figli a patricius Romanorum (cioè protettori di Roma).
L'imperatore bizantino ovviamente protestò e inviò due messi presso il re franco, pregandolo di restituire l'Esarcato al legittimo padrone, ovvero l'Impero romano d'Oriente; ma Pipino rispose negativamente, congedando i due ambasciatori[10]. Senza più la mediazione di Costantinopoli, il pontefice esercitò direttamente la propria signoria sui nuovi territori. Non furono invece esercitati direttamente dalla Santa Sede: a) la sicurezza militare dello Stato, che fu garantita dall'esercito dell'Impero Carolingio; b) il governo locale: non avendo lo Stato Pontificio strutture amministrative, furono i membri delle aristocrazie cittadine a governare i territori della Chiesa per conto del Papa, cui riconobbero formale supremazia.
Il figlio di Pipino, Carlo Magno, devotissimo di S. Pietro, scese a Roma cinque volte[11] ed altrettante volte arricchì di doni il patrimonium Sancti Petri:
Il papa amministrò inuovi territori mediante actionarii, lasciando però le forme di vita municipale, tipiche del governo bizantino. Roma era in mano all'aristocrazia che intendeva mantenere in vita l'antico Senato, mentre il popolo era diviso in scholae: dodici per i quartieri sulla riva sinistra del Tevere, due per il Trastevere; vi erano inoltre una schola Graecorum e quattro scuole per Sassoni, Frisoni, Franchi e Longobardi, all'interno della basilica di San Pietro. Il papa iniziò a coniare moneta con il suo nome e la sua effigie e, dal 781, cominciò a datare i documenti secondo gli anni del suo pontificato.
La Santa Sede, in realtà:
Per quanto riguarda le donazioni ricevute da Pipino, se ne impadronirono i vari Re d'Italia, dopo lo smembramento dell'impero carolingio (887). La Santa Sede ne rientrò in possesso solamente dopo lunghe e mirate campagne, non escludendo l'opzione militare, e per la forte iniziativa di alcuni papi, a cominciare da Innocenzo III (1198-1216).
Nel 774 Carlo Magno confermò la Promissio Carisiaca di Pipino il Breve. Per rafforzare il peso dello Stato Pontificio, venne costruita la cosiddetta Donazione di Costantino al papa Silvestro I, un documento falso finalizzato a legittimare il potere temporale dei papi. Secondo tale documento, nel 321 l'imperatore romano Costantino il Grande avrebbe assicurato a Silvestro I e ai suoi successori il dominio esclusivo sul Palazzo del Laterano e la città di Roma, con tutte le pertinenze e le insegne imperiali. A scoprire che il documento era un falso fu l'umanista Lorenzo Valla nel 1440 circa. Valla constatò che il latino in cui era stato scritto aveva caratteristiche diverse dalla lingua dell'Impero romano.
Nell'anno 824, la sovranità papale sullo Stato della Chiesa e gli stretti vincoli che legavano tale entità politico-territoriale all'Impero furono ribaditi e rafforzati mediante la Constitutio romana, emanata dall'imperatore carolingio Lotario I nel corso di un suo soggiorno a Roma. Con la Constitutio romana, l'imperatore ebbe riconosciuto il suo status di supremazia sull'autorità papale. Il trattato comportava, infatti, l'obbligo per il papa neoeletto di giurare fedeltà all'imperatore, mentre questi si riservava il diritto di intervento nell'elezione pontificia e diritti di sorveglianza, anche militare, sulla città di Roma.
Con lo smembramento dell'impero carolingio, cadde in disuso anche la Constitutio. Finì quindi il periodo di vassallaggio del papa verso l'imperatore, ma gli anni successivi non furono migliori. La Santa Sede cadde in balia dell'aristocrazia romana, che tentò di sottrarre al pontefice il potere temporale (amministrazione della giustizia, governo della città di Roma). Tale situazione si protrasse per tutto il X secolo.
Un tentativo di uscire da tale difficile situazione fu effettuato da papa Giovanni XII, che nel 960 chiese al re di Germania Ottone I di Sassonia di imporre la propria autorità, come sovrano della maggiore potenza temporale della cristianità, al popolo e all'aristocrazia romani. Ottone I scese in Italia (settembre 961) e fu incoronato imperatore dallo stesso Giovanni XII (2 febbraio 962). I due sovrani ripristinarono di comune accordo la Constitutio romana e stipularono un nuovo patto, il Privilegium Othonis, con il quale l'imperatore prometteva di restituire al pontefice quei territori che gli imperatori carolingi gli avevano donato e poi i Re d'Italia gli avevano sottratto.
Ma con il pretesto della sacra defensio ecclesiae, il Privilegium consentiva anche la diretta intromissione dell'Imperatore negli affari del patrimonium S. Petri e riaffermava la sovranità dell'impero sullo Stato della Chiesa. Il Privilegium fu riconfermato con il Diploma Heinricianum, stipulato il giorno di Pasqua del 1020 tra papa Benedetto VIII (1012–1024) ed Enrico II (1002–1024). Nel 1052 un accordo stipulato fra Papa Leone IX e l'Imperatore Enrico III a Worms[13], stabilì l'acquisizione da parte della Santa Sede della città di Benevento. La città sannita rimase parte dello Stato Pontificio per diversi secoli, fino al 1860.
Con Innocenzo III (1198-1216) lo Stato Pontificio iniziò ad uscire dall'ambito romano per assumere una nuova fisionomia, interregionale. Il suo pontificato fu caratterizzato dalle ricuperazioni del Patrimonio di San Pietro. Nelle terre recuperate, Innocenzo III assegnò i poteri di governo a un esponente di una dinastia feudale. Il Papato e l'Impero, usciti da pochi decenni dalla lunga lotta per le investiture, non avevano ancora definito completamente a livello politico e territoriale i rispettivi poteri. Non era chiaro quali fossero i territori sottoposti al dominio temporale della Santa Sede.
L'imperatore Federico I Barbarossa aveva fatto atto di sottomissione al potere della Chiesa dopo la sconfitta nella battaglia di Legnano (1176), e si era impegnato a restituire al Papa universa regalia et alias possessiones Sancti Petri, che i suoi predecessori avevano sottratto negli anni precedenti. Ma tale atto era rimasto sulla carta. Il 12 luglio 1213 l'imperatore Ottone IV confermò le "promesse" di restituzione dei territori; nel 1219 Federico II di Svevia, in procinto di essere incoronato imperatore, rinnovò la cessione di parte dell'Italia settentrionale al papa. Lo scontro con l'autorità imperiale in Italia si protrasse allorché i liberi comuni e la nuova borghesia cittadina acquisirono un potere economico sempre maggiore ed iniziarono ad aspirare ad una maggiore libertà politica.
Lo Stato della Chiesa sostenne la lotta dei comuni contro Federico II di Svevia al fine di indebolire l'autorità politica del sovrano romano-germanico. Innocenzo III si pose l'obiettivo di rendere effettivo uno Stato di diritto che fino ad allora era stato riconosciuto dagli imperatori soltanto a parole. A sostegno della propria azione, il pontefice enunciò la teoria del Sole e della Luna. Secondo tale visione, il papa, depositario della luce di Dio, sarebbe stato superiore all'imperatore, detentore di un potere umano, poiché i poteri mondani originavano unicamente da Dio. L'imperatore, quindi, avrebbe dovuto brillare semplicemente di luce riflessa[14]. Papa Onorio III proseguì la politica territoriale di Innocenzo III. Ma nel 1230 l'esperimento, iniziato ventotto anni prima dal suo predecessore, fu concluso senza successo. Gregorio IX pertanto decise di inviare funzionari ecclesiastici, i rettori, che risiedessero permanentemente nella provincia e la governassero (o meglio rappresentassero il governo centrale) per un certo numero di anni[15]. Nel 1244 Innocenzo IV nominò il cardinale Raniero Capocci suo rappresentante in tutto lo Stato della Chiesa.
Nel 1248 l'opera di riconquista dei territori del nord poté dirsi conclusa, grazie all'azione dell'esercito guelfo guidato da Ottaviano degli Ubaldini (maggio-giugno 1248). Negli anni seguenti, però, le forze, ghibelline ripristinarono il controllo sulle città romagnole. Il lungo interregno che seguì la morte di Federico II (dal 1250 al 1273), creò in Italia uno stato di incertezza e precarietà. Invece che favorire la Santa Sede, ne limitò l'azione. I territori nella pianura padana ritornarono sotto il governo pontificio con papa Niccolò III. Nel 1274 il pontefice assegnò a Rodolfo, principe della Casa d'Asburgo, il diritto di cingersi della corona di re dei Romani. Lo invitò quindi a venire in Italia per essere incoronato[16].
Rodolfo promise, sotto pena di scomunica, di scendere in Italia entro una certa data. Ma mancò la promessa, essendo scoppiata una guerra in Germania. Scaduta la data concordata, al papa non rimase che scomunicarlo. Per riconciliarsi con la Chiesa ed essere incoronato, accettò di cedere la Contea di Romagna e la città di Bologna alla Santa Sede. Il passaggio formale dei poteri fu sancito il 29 maggio 1278. Con l'annessione della Romagna e di Bologna, lo Stato Pontificio diventò lo stato italiano più esteso dopo il Regno di Sicilia. Nel 1302 Bonifacio VIII promulgò la bolla Unam Sanctam Ecclesiam, in cui riaffermò la supremazia del potere spirituale sul potere temporale.
Dopo Benedetto XI (morto nel 1304) la Santa Sede iniziò a subire l'influenza politica della componente francese. I transalpini fecero trasferire la sede pontificia ad Avignone e monopolizzarono per lungo tempo i conclavi, facendo eleggere solo pontefici francesi. Fu il periodo detto della Cattività avignonese[17]. Lo Stato Pontificio, a causa della lontananza della sede papale, cadde in preda all'anarchia e fu dilaniato dalle lotte interne delle principali famiglie nobiliari romane (come quella tra i Colonna e gli Orsini, narrata anche da Boccaccio).
Durante la cattività avignonese il papato perse il controllo di gran parte dei propri territori. Lo Stato Pontificio si frazionò in una serie di potentati locali. Nel 1353 Innocenzo VI, anche in previsione del possibile ritorno del papato nella sede di Roma, incaricò il cardinale Albornoz di restaurare l'autorità papale nei territori della Chiesa in Italia. Con la Bolla del 30 giugno 1353 gli furono conferiti poteri straordinari (vicario generale terrarum et provinciarum Romane Ecclesie in Italiane partibus citra Regnum Siciliae).
L'Albornoz riuscì nell'impresa in parte con la diplomazia, in parte con le armi. Il cardinale intraprese una serie di campagne che sottomisero il Lazio, Spoleto, i Montefeltro di Urbino, i Malatesta di Rimini e gli Ordelaffi di Forlì. Questi ultimi furono piegati solo quando papa Innocenzo VI proclamò una crociata contro i Forlivesi. La Crociata durò dal 1355-56 fino al 1359, quando si giunse ad un compromesso: Forlì ritornava alle dirette dipendenze pontificie. Forlimpopoli e Castrocaro rimanevano all'Ordelaffi, che le governava a titolo di vicario papale. Al termine della campagna, l'Albornoz si insediò a Forlì, dimostrando, anche simbolicamente, che le operazioni di riaffermazione dell'autorità pontificia sui territori della Chiesa si erano positivamente concluse.
Al Nord, solo Bologna rimaneva indipendente. Il recupero dei possedimenti nelle Marche e nella pianura padana fu fondamentale poiché gran parte del reddito che alimentava le finanze papali proveniva da questi territori. Solo con la ricostituzione di tali possedimenti sarebbe stato possibile il ritorno del papato a Roma[18]. Una volta ricostituita l'unità dello Stato della Chiesa, il cardinale Albornoz creò un'amministrazione basata sul decentramento provinciale, codificata nel 1357 nelle cosiddette Costituzioni egidiane[19]. Il modello organizzativo introdotto da Albornoz fu successivamente ripreso e adottato dagli altri Stati italiani. Lo stato risultava suddiviso nelle seguenti province:
Le province erano finanziariamente autosufficienti; Roma esercitava solo un coordinamento. La suprema autorità di ogni singola provincia era il Legato pontificio, il quale operava con pieni poteri in nome del pontefice. Il legato governava insieme al Rettore. La fisionomia territoriale delle diverse Province rimase incerta a lungo. Solo con papa Pio IV (1559-1565) si ebbe una certa e determinata individuazione di ciascuna provincia.
Intanto il periodo di cattività avignonese volgeva al termine. Nel 1367 Urbano V fece ingresso a Roma, ma ci rimase solo tre anni, poiché nel 1370 fece ritorno ad Avignone, dove morì nello stesso anno. Nel 1378, morto Gregorio XI, i cardinali riuniti in conclave, sotto le pressioni insistenti dei romani, elessero papa Urbano VI, un italiano che, a differenza dei suoi predecessori, restò in città. I francesi, non volendo perdere il proprio controllo sul pontefice, dichiararono l'elezione nulla, adducendo come prova le pressioni esercitate dalla folla sui cardinali. Alcuni cardinali abbandonarono Roma e si riunirono in una città situata oltre il confine dello Stato, Fondi. Qui elessero un antipapa, Clemente VII (1378-1394). Fu l'inizio del grande Scisma d'Occidente.
Dopo il Concilio di Costanza (1418), che mise fine allo scisma, il papa assunse sempre di più la duplice veste di capo della Chiesa universale e monarca assoluto dello Stato della Chiesa. Nei decenni successivi nacquero degli organismi per aiutare il pontefice nel disbrigo degli affari interni e nei rapporti con l'esterno: papa Martino V (1417-31) istituì la Camera Secreta per la trattazione dei rapporti diplomatici; nel 1487 papa Innocenzo VIII fondò la Secreteria Apostolica per la corrispondenza ufficiale in lingua latina. Si trattava di una commissione composta da 24 cardinali, coordinati da un cardinale Secretarius Domesticus. All'inizio del XVI secolo Leone X istituì l'ufficio del Secretarius Intimus, al quale fu affidata la corrispondenza pontificia in lingua italiana (il primo a ricoprire questo incarico fu Pietro Ardighello). Infine, un cardinale esperto di questioni politiche assunse la direzione pratica degli affari di Stato (il primo fu Giulio de' Medici). Prese così fisionomia la Segreteria di Stato della Santa Sede.
Per approfondire, vedi Suddivisioni amministrative dello Stato Pontificio in età moderna. |
Negli ultimi anni del XV secolo, la politica dello Stato Pontificio si orientò sempre più nettamente verso la cura dei propri possedimenti sul versante adriatico, dando l'avvio, a partire dal pontificato di Alessandro VI (1492-1503) a una serie di campagne militari atte soprattutto a sottomettere le città romagnole e marchigiane. Ai primi del Cinquecento Giulio II completò la riconquista dei territori settentrionali dello Stato:
Con il pontificato di Pio IV (1559-1565) si ebbe una certa e determinata suddivisione territoriale e la fine del grande nepotismo. Rafforzata al proprio interno, per circa un secolo la Santa Sede si impose come uno dei grandi protagonisti della politica italiana del tempo. A partire dal pontificato di Paolo III lo Stato della Chiesa si estese e consolidò notevolmente, raggiungendo attorno alla metà del secolo successivo la sua massima estensione. Fra le Signorie e gli Stati passati da una condizione di blando vassallaggio (ma in realtà semi-indipendenti) a un vero e proprio assorbimento all'interno dello Stato Pontificio vi furono, fra il Cinquecento e Seicento:
Lo Stato Pontificio aveva ereditato dal Medioevo la tradizionale divisione territoriale in cinque Province. La fisionomia politica e territoriale delle diverse Province rimase incerta a lungo. Solo con papa Paolo III (1534-1549) la Provincia conosce una prima e completa sistemazione giuridico-amministrativa, con la raccolta di leggi e decreti (Constitutiones) promulgata da monsignor Gregorio Magalotti nel 1536. Si prescrissero i compiti del presidente e dei suoi ufficiali, quelli dei governatori delle singole città. Il governatore locale fu il principale ministro della Legazione sul territorio.
Nel XVII secolo gli Stati della Chiesa erano costituiti da una serie di entità amministrative autonome, distinte in Legazioni, Territori, Paesi titolati, governatorati:
Il governo paternalista della Chiesa, se da un lato operò per lenire, soprattutto nella generale crisi che colpì il mondo mediterraneo e centroeuropeo, a partire dal 1620 circa[23], le sofferenze delle classi più umili attraverso la creazione di una serie di istituzioni benefiche (fra cui i primi Monti di Pietà apparsi in Europa, ospedali pubblici, mense per poveri, ecc.), dall'altro non riuscì a rinnovarsi e modernizzarsi in forma soddisfacente allorquando si ebbe, nella prima metà del Settecento, in Italia e in altri paesi, una generale ripresa economica e culturale. Fino almeno allo scoppio della Rivoluzione francese (1789), lo Stato Pontificio godé tuttavia di un moderato consenso popolare e di un fermo appoggio da parte delle sue classi dirigenti, grazie anche al sostegno di una borghesia di estrazione non mercantile, legata all'apparato burocratico dello Stato, e a quello della nobiltà locale, ricompensata con feudi, prebende e, in alcuni casi, anche con l'ascesa al soglio pontificio di alcuni fra i suoi rappresentanti più influenti.
Come si è già avuto modo di segnalare, nel Trecento e nel Quattrocento la Cattività avignonese e il Grande Scisma avevano indebolito il papato, che aveva iniziato a perdere parte della propria influenza sulla politica europea, pur non avendo ancora definitivamente rinunciato alla propria missione di guida della Cristianità. La nascita e la diffusione della Riforma protestante nella prima metà del XVI secolo, sembrò compromettere per sempre la missione universale del Cattolicesimo in Europa e nel Mondo. Nuovo vigore venne tuttavia dato alla Chiesa e al proprio Stato con il Concilio di Trento e il fermo appoggio prestato al Papato dagli Asburgo di Spagna e d'Austria, allora all'apice della propria potenza. I rapporti con la Spagna furono vantaggiosi per la Chiesa, ma conobbero anche momenti negativi.
La Spagna, potenza egemone in Italia dopo la battaglia di Pavia (1525), se da una parte schiacciò con estremo rigore ogni opposizione papale alla propria politica di potenza nella penisola (sacco di Roma, 1527) dall'altra ne puntellò il potere sia in funzione antiveneziana, sia come baluardo del cattolicesimo e della stessa monarchia asburgica. La decadenza dell'Impero ispanico, già chiaramente percepibile attorno all'inizio degli anni quaranta del XVII secolo e sancita definitivamente con la Pace di Vestfalia, si ripercosse negativamente sullo Stato della Chiesa, costretto a patteggiare da posizioni di debolezza con la nuova potenza emergente europea: la Francia di Luigi XIV.
Nella prima metà del Settecento si ebbe, in Italia e in altri paesi, una generale ripresa economica e culturale. Alcuni papi avviarono una serie di riforme, sia sociali che economiche. I primi tentativi, volti a migliorare la condizioni di vita dei sudditi e a rilanciare l'economia, ebbero però esito negativo. Clemente XI istituì nel 1701 una «Congregazione del sollievo», che mise a punto un programma economico e sociale che prevedeva il frazionamento dei latifondi, l'istruzione agraria, il miglioramento delle condizioni igieniche dei lavoratori, l'organizzazione del credito agrario, il miglioramento delle comunicazioni e del commercio.
I proprietari terrieri si opposero fermamente alle riforme e il piano naufragò. Nel 1715 il pontefice sciolse la Congregazione. Fu portata termine con esito positivo, invece, la nuova ripartizione del territorio dello Stato. La riforma comportò la creazione di nuove province e la riorganizzazione delle varie circoscrizioni su basi territoriali più omogenee. Si voleva in tal modo effettuare un controllo più capillare sul territorio ed attenuare gli effetti negativi dei tanti privilegi (sia aristocratici che comunali) che impedivano il corretto funzionamento della macchina statale.
La nuova e più articolata ripartizione provinciale prevedeva:
Nella seconda metà del secolo iniziò una nuova stagione riformatrice in campo economico. Papa Pio VI (1775-1799), mise mano a un programma di riassetto delle finanze che si concretizzò nella semplificazione delle imposte e nella creazione di un catasto (1777). Inoltre cercò di rendere più efficace il controllo fiscale sulle Legazioni istituendo una Camera di conti in ciascuna di esse. Nel 1786 il pontefice eliminò le dogane interne (rimasero in attività solamente quelle dei centri più importanti: Bologna, Ferrara, Benevento e Avignone); rafforzando nel contempo il controllo sulle merci in circolazione nello Stato, con l'istituzione di ottanta nuovi uffici di frontiera. Infine il pontefice promosse la bonifica delle paludi pontine. Secondo i suoi intenti, la bonifica avrebbe permesso l'avvio di nuove coltivazioni, con un effetto benefico sull'occupazione e sulla produzione, ma le nuove terre finirono in mano ai grandi proprietari assenteisti, che fecero fallire il progetto.
Per approfondire, vedi Pio VII e Napoleone. |
L'invasione napoleonica sconvolse gli equilibri settecenteschi italiani e lo Stato Pontificio rischiò di scomparire definitivamente. Il 12 giugno 1796 una divisione dell'esercito francese guidata dal generale Pierre Augereau invase i territori pontifici dalla Lombardia. In pochi giorni i francesi entrarono a Bologna (presa il 19 senza colpo ferire), Ferrara e Ravenna. Il 23 giugno fu firmato a Bologna un penalizzante armistizio.[24] Nel giugno 1797, con il trattato di Tolentino, Bologna, Ferrara e la Romagna furono annesse alla neonata Repubblica Cisalpina. Napoleone inoltre fece riconoscere da Papa Pio VI la cessione alla Francia di Avignone e del Contado Venassino (già occupati alcuni anni prima in età rivoluzionaria).
Nel febbraio 1798 venne proclamata l'effimera Repubblica, storicamente conosciuta come Repubblica Romana, strettamente legata alla Francia. Per la prima volta dal 1309, Roma non era più capitale dello Stato della Chiesa.[25] Papa Pio VI fu arrestato e esiliato; morì prigioniero in Francia. Dopo alterne vicende, la Repubblica romana cadde definitivamente nel settembre 1799, con l'occupazione di Roma da parte dell'esercito borbonico (che già si era impossessato della città per alcuni giorni nel novembre-dicembre del 1798). Sotto la protezione del Regno di Napoli e dell'Impero austriaco fu ripristinato il potere temporale del Pontefice.
Il nuovo papa, Pio VII (eletto nel 1800), fu il sovrano dello Stato Pontificio finché nel 1808 l'Italia fu nuovamente invasa dall'esercito francese. In quello stesso anno, la metà delle Marche da Pesaro a Fermo fu tolta al pontefice ed accorpata allo Stato satellite napoleonico del Regno italico. Rotte le relazioni diplomatiche, lo stesso Pio VII fu arrestato e deportato oltralpe. La sua prigionia in Francia si protrasse fino al 1814. Dopo la caduta di Napoleone a Lipsia (battaglia di Lipsia), i territori occupati dai francesi furono restituiti alla Santa Sede (24 gennaio 1814). Allo Stato Pontificio non fu restituita solamente l'exclave del Contado Venassino (sottratta nel 1791).
Repubbliche sorelle della Francia costituite nel territorio pontificio:
Denominazione | Capitale | Creazione | Cessazione |
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Repubblica Cispadana[26] poi Repubblica Cisalpina |
Bologna poi Milano |
giugno[27] 1796 | 29 aprile 1799 |
Repubblica Anconitana | Ancona | 19 novembre 1797 | confluenza nella «Repubblica Romana» |
Repubblica Tiberina | Perugia | 4 febbraio 1798 | confluenza nella «Repubblica Romana» |
Repubblica Romana | Roma | 15 febbraio 1798 | 30 settembre 1799 |
Dipartimenti della Repubblica Cisalpina (1801), della Repubblica Italiana (1802) e quindi del Regno d'Italia (1805-1814) costituiti nel territorio pontificio:
Denominazione | Capitale | Creazione | Cessazione |
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Dipartimento del Reno | Bologna | 13 maggio 1801 | 25 maggio 1814 |
Dipartimento del Basso Po | Ferrara | 1801 | idem |
Dipartimento del Rubicone | Forlì | 1801 | idem |
Dipartimento del Metauro | Ancona | 11 maggio 1808 | idem |
Dipartimento del Musone | Macerata | 11 maggio 1808 | idem |
Dipartimento del Tronto | Fermo | 11 maggio 1808 | idem |
Dipartimenti del Primo Impero Francese (1804-1814) costituiti nel territorio pontificio:
Denominazione | Capitale | Creazione | Cessazione |
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Dipartimento del Trasimeno | Spoleto | 15 luglio 1809 | 24 gennaio 1814 |
Dipartimento di Roma | Roma | 15 luglio 1809 | idem |
Ritornato nella pienezza dei suoi poteri, papa Pio VII elaborò una nuova suddivisione amministrativa dello Stato Pontificio tramite il motu proprio «Quando per ammirabile disposizione»[28] del 6 luglio 1816, che prevedeva una nuova suddivisione amministrativa dello Stato. Il territorio fu ripartito in province, distinte in due classi: legazioni e delegazioni.
Dopo la Restaurazione nacquero delle società segrete che si diffusero rapidamente nel territorio dello Stato della Chiesa, ricevendo stimoli sia dalle organizzazioni di ispirazione buonarrotiana, sia dalla Carboneria.[29] I primi moti scoppiarono nel 1820-1821. Gli stati assolutisti italiani diedero luogo a un inasprimento delle contromisure per reprimere il fenomeno. Nello Stato Pontificio e nel Regno delle Due Sicilie tali contromisure ebbero minore effetto dal momento che la repressione era una costante nei metodi governativi pontifici.[30] Il malessere assunse all'epoca, in alcuni territori pontifici, forme di aperta ribellione domata talvolta da bande armate di sanfedisti: in Romagna, alcuni anni più tardi, acquistò una triste notorietà il capobanda ed avventuriero Virginio Alpi, che operava nelle zone comprese tra Forlì e Faenza[31].
Nel 1831, su impulso del modenese Ciro Menotti, scoppiò una sommossa a Bologna, la seconda città dello Stato. La rivolta si estese alle Legazioni di Ferrara, Forlì, Ravenna e alle Marche. Gli insorti presero il potere ed insediarono un governo provvisorio. Tra i protagonisti vi fu Francesco Orioli. In genere, le autorità pontificie legittimarono l'investitura dei governi provvisori, definendoli "straordinari"[32]. Solo a Forlì vi fu uno scontro armato che provocò alcuni morti e feriti. Il 17 marzo, nella città romagnola Napoleone Luigi Bonaparte, già re d'Olanda per pochi giorni col titolo di Luigi II, trovò la morte, per una epidemia di morbillo. Il Bonaparte si era volontariamente impegnato nel sostegno dell'insurrezione come carbonaro, assieme al fratello, il futuro Napoleone III, che divenne un ricercato della polizia austriaca (entrambi erano stati espulsi mesi prima da Roma per il loro attivismo politico). Quando le nuove autorità provvisorie proclamarono la nascita di una repubblica parlamentare con capitale Bologna (Province Unite Italiane), si rese necessario un intervento armato dell'Austria, che ripristinò l'ordine (marzo-aprile 1831).
Nello stesso periodo la Francia organizzò una conferenza internazionale cui invitò quattro grandi Stati europei: Austria, Inghilterra, Prussia e Russia. Le cinque potenze inviarono al pontefice la richiesta di una serie di riforme dello Stato Pontificio. Per il bene generale dell'Europa, si richiedevano a Gregorio XVI: la creazione di una Consulta (indipendente) con funzioni di controllo del bilancio statale; un miglioramento del sistema giudiziario; l'ammissione dei laici agli uffici amministrativi; la fine dell'accentramento statale con la creazione di consigli municipali autonomi e di consigli provinciali con ampi poteri.[33] Il pontefice non rispose alla richiesta, considerandola un attacco indiretto all'esercizio della sovranità temporale della Santa Sede.[34]
Elenco delle Delegazioni dello Stato Pontificio 1816-1850 (tra parentesi il capoluogo):
Nei primi anni di pontificato, Pio IX governò il Paese con una progressiva apertura alle richieste liberali della popolazione. Iniziò una stagione di grandi riforme: la libertà di stampa (15 marzo 1847) e la libertà agli Ebrei; l'inizio delle ferrovie (vedi Infra); il Senato e il Consiglio Municipale di Roma (1º ottobre); la Consulta di Stato (istituzione che rappresenta legalmente le province, 14 ottobre); un governo, formato da nove ministeri. Il primo presidente del Consiglio fu il card. Gabriele Ferretti. Il 5 luglio ricostituì la Guardia Civica[35], che era stata sciolta durante la parentesi napoleonica.
Sul piano delle relazioni con gli altri stati italiani, il pontefice promosse inoltre la costituzione di una Lega doganale tra gli Stati italiani, che rappresentò il più importante tentativo politico-diplomatico dell'epoca volto a realizzare l'unità d'Italia per vie federali. Nel 1847 Pio IX istituì un gabinetto ministeriale sul modello degli stati costituzionali.
L'anno 1848 si aprì con una serie di rivolte e sollevazioni in tutta Europa. Il 21 gennaio il card. Ferretti rassegnò le dimissioni. Il nuovo governo, guidato dal card. Giuseppe Bofondi ebbe all'inizio solo ministri ecclesiastici, ma il 12 febbraio, due giorni dopo il famoso proclama: “Benedite, gran Dio, l’Italia e conservatele il dono di tutti il più prezioso, la Fede”, entrarono nel governo i primi ministri laici. Successivamente Bofondi dovette negare l'appoggio del Governo pontificio al nuovo regime costituzionale del Regno delle Due Sicilie[36].
Il 14 marzo del 1848 Pio IX deliberò l'atto politico di maggior rottura con il passato: con l'editto Nelle istituzioni concesse la costituzione, denominata «Statuto fondamentale pel Governo temporale degli Stati di S. Chiesa». Lo Statuto istituiva due Camere legislative, Alto Consiglio e Consiglio dei Deputati, ed apriva le istituzioni (sia legislative che esecutive) ai laici.
Nello stesso periodo «...l'azione governativa [rimase]...del tutto estranea a ogni istanza di progresso posta dallo sviluppo economico europeo...».[37] Neanche la Repubblica romana (1849) seppe avviare una vera stagione di riforme. I rivoluzionari presero il controllo della città dopo la fuga del pontefice (Pio IX aveva lasciato Roma occupata il 24 novembre) e convocarono l'elezione di un'Assemblea costituente il 29 dicembre.
Dal suo esilio a Gaeta, Pio IX richiese l'intervento delle potenze cattoliche. Le truppe francesi sbarcarono in Lazio il 24 aprile, seguite dalle truppe spagnole; a Nord quelle austriache attraversarono il Po prendendo possesso delle Legazioni e delle Marche. Il primo attacco dei francesi su Roma, il 30 aprile, fu respinto. Il generale francese Oudinot, decise allora di porre sotto assedio l'Urbe. Il 3 giugno lanciò un secondo attacco. I combattimenti infuriarono per tutto il mese di giugno. Il 1º luglio fu stipulata la tregua, il giorno successivo i francesi fecero il loro ingresso nella città riconquistata. Dal 1849 al 1866[38] la Francia mantenne una guarnigione armata a difesa della capitale dello Stato Pontificio.
Quando papa Pio IX rientrò a Roma, nel 1850, la situazione dello Stato era peggiorata: il bilancio presentava un deficit di ben due milioni di scudi. Le finanze erano vicine al dissesto. L'amministrazione pontificia, ripreso il controllo dell'economia, iniziò un’opera di risanamento che portò in otto anni al pareggio di bilancio. [39] Il decennio successivo al 1850 vide una crescita economica costante nello Stato Pontificio, come nel resto degli Stati italiani. L'agricoltura era fondata sulla coltivazione di canapa e seta, che venivano esportate in notevole quantità. Tutto il commercio, interno ed estero, beneficiò della fase di crescita dell'economia.[40]
Successivamente Pio IX stanziò degli investimenti per favorire lo sviluppo dello Stato.[41]. Fra le principali opere pubbliche iniziate o portate a compimento nello Stato della Chiesa a metà dell'Ottocento vi furono:
Nel gennaio 1852 lo Stato della Chiesa fu il primo in Italia, con Firenze, Modena e Parma, ad introdurre l'uso del francobollo[44]. I dati del censimento del 1853 mostravano che, su una superficie di 41.295 km2, viveva una popolazione di 3.124.668 abitanti. Lo Stato Pontificio era il terzo stato italiano per superficie ed il secondo per popolazione (dopo i Regni di Napoli e Sardegna).
Nei due decenni che precedettero l'annessione dello Stato Pontificio al Regno d'Italia, furono in massima parte completati i lavori di bonifica dell'Agro romano e iniziati quelli relativi alla rete idrica per il soddisfacimento del fabbisogno di acqua potabile degli abitanti di Roma che tuttavia vennero portati a compimento solo dopo l'unione della città allo Stato italiano.
I principali difensori dello Stato della Chiesa erano stati la dinastia dei Savoia, la dinastia dei Borbone e l'Impero austriaco. Ma dalla metà degli anni cinquanta la politica dei Savoia, con il Regno di Sardegna, mostrò una netta virata in senso anticlericale. Il 29 maggio 1855 il Parlamento di Torino approvò una legge che sopprimeva gli ordini religiosi ed ordinava l'incameramento e la vendita di tutti i loro beni. Il re Vittorio Emanuele controfirmò, sancendo così la sua rottura con la Chiesa. Non era mai successo prima che la dinastia Savoia si fosse messa frontalmente contro la Santa Sede. Il papa condannò fermamente la legge con l'allocuzione Cum saepe.
L'anno seguente, in aprile, lo Stato Pontificio subì un duro attacco diplomatico dal primo ministro di casa Savoia, Camillo Cavour. Il Regno di Sardegna aveva partecipato alla Guerra di Crimea come alleata delle potenze europee occidentali. Vinta la guerra, poté sedersi al congresso di Parigi a fianco di Francia e Inghilterra. Cavour pronunciò un discorso che conteneva un attacco ben calcolato allo Stato Pontificio. Il conte affermò infatti: “Gli stati della Santa Sede non furono felici che sotto Napoleone I”[45].
La Santa Sede capì che il piano di Cavour fosse la conquista di Roma solo nel 1859, quando la Legazione delle Romagne fu invasa da due battaglioni di truppe piemontesi senza che l'atto fosse stato anticipato da una dichiarazione di guerra. Si configurò una situazione di stallo, che si protrasse per tutto il resto dell'anno: la conquista era fatta ma non aveva base legale. All'inizio del 1860 il governo di Torino chiese al Papa di rinunciare volontariamente alle Legazioni; ottenendo un netto rifiuto, furono organizzati dei plebisciti di annessione. L'11-12 marzo si tennero le consultazioni nei territori delle ex Legazioni[46]. Alle nuove province fu immediatamente applicata la legge sarda, che comprendeva la soppressione degli ordini religiosi e l'incameramento dei loro beni.
L'obiettivo successivo del Regno di Sardegna fu la conquista di Marche ed Umbria (che comprendeva la Sabina). Con la scusa di fermare l'avanzata di Garibaldi dal Sud, dopo la conquista del Regno delle Due Sicilie, l'esercito sardo attraversò il confine con le Marche dirigendosi verso la piazzaforte di Ancona. La Santa Sede, non disponendo di un esercito regolare, lanciò una chiamata alle armi per raccogliere volontari da tutta Europa. Fu costituito un esercito multinazionale (italiani, austriaci, olandesi, polacchi, belgi, svizzeri e irlandesi) di circa quindicimila uomini, sotto la guida del generale francese Christophe de Lamoricière.
L'esercito piemontese, guidato dal generale Enrico Cialdini, attaccò l'11 settembre. Lo scontro militare durò una settimana (11-18 settembre 1860). La battaglia decisiva fu combattuta a Castelfidardo, nell'Anconetano. La battaglia di Castelfidardo (18 settembre) si concluse con la vittoria dei piemontesi; le truppe papaline superstiti si asserragliarono nella piazzaforte di Ancona e furono definitivamente sconfitte dall'esercito sardo dopo un difficile assedio. Il 4 novembre si svolsero i plebisciti di annessione. Perse le Marche, l'Umbria e la Sabina, lo Stato Pontificio fu ridotto al solo Lazio. Il 25 marzo 1861, pochi giorni dopo la proclamazione del nuovo Regno d'Italia, Cavour annunciò alla Camera dei Deputati che «Roma sola deve essere capitale d'Italia»[45].
Per approfondire, vedi Questione romana. |
Roma era protetta, per antichissima tradizione, dal re di Francia (in quest'epoca il sovrano era l'imperatore Napoleone III). Ma Napoleone III era, al contempo, il principale alleato e protettore del neonato Regno d'Italia (anche a prescindere dagli accordi di Plombières, da lui firmati nel 1858 all'insaputa del pontefice). Il governo italiano propose alla Francia il ritiro del contingente di stanza nell'Urbe; ma la Francia inizialmente oppose un diniego. Si arrivò così alla Convenzione del 15 settembre 1864. Le due parti convenivano sull'intangibilità dei confini pontifici; la Francia si impegnava a ritirare la propria guarnigione a Roma nel giro di due anni; in cambio l'Italia rinunciava a prendere Roma e s'impegnava a rispettare i confini dello Stato Pontificio[47]. Al momento di ratificare l'accordo venne però inserita una postilla: nel caso i cittadini romani avessero espresso il desiderio di essere uniti all'Italia, il governo italiano non avrebbe lasciato inascoltata la loro richiesta. La Santa Sede fu tenuta all'oscuro anche di questo patto.[48]
Subito Giuseppe Garibaldi tentò una marcia su Roma partendo dalla Sicilia. Ma, non avendo chiesto il consenso a Parigi, l'esercito italiano fermò la sua azione quando i volontari erano da poco sbarcati in Calabria per evitare un incidente diplomatico[49] (29 agosto 1862). Garibaldi ritentò l'attacco a Roma a fine settembre del 1867: con un esercito di volontari invase il Lazio da nord. Fu fermato e sconfitto a Mentana il 3 novembre 1867 da una forza costituita dalle truppe pontificie e da un corpo di spedizione francese venuto in soccorso del pontefice.
Nel 1868 Pio IX convocò un concilio ecumenico. I lavori del Concilio Vaticano I iniziarono l'8 dicembre 1869; il risultato più importante fu l'affermazione del dogma dell'infallibilità del magistero del Papa in materia di fede e di morale (quando tale magistero rispettasse alcune condizioni) per contrastare alcuni pericoli religiosi del tempo. Lo scoppio della Guerra franco-prussiana (19 luglio 1870) interruppe i lavori[50]. Il 1º settembre 1870 la Francia, in guerra con la Prussia dovette richiamare in patria anche le forze militari dislocate a Roma, rinunciando a proteggere lo stato del Papa. Così Vittorio Emanuele II ne approfittò per invadere il Lazio ed attaccare Roma. Il 20 settembre avvenne la presa di Roma da parte dei bersaglieri savoiardi. Il combattimento fu poco più che simbolico e venne concluso immediatamente da un armistizio, onde evitare un inutile spargimento di sangue. Successivamente il corpo internazionale dei volontari pontifici fu sciolto ed i soldati partirono da Roma, con l'onore delle armi. Il Regno d'Italia procedette all'annessione del Lazio: liberazione secondo l'ottica italiana, occupazione secondo quella pontificia. I plebisciti si svolsero il 2 ottobre nelle cinque province che costituivano lo Stato. Complessivamente, su 167.548 elettori, 135.291 si recarono alle urne. I favorevoli all'annessione furono 133.681; 1507 i contrari; i voti nulli furono un centinaio. Il 9 ottobre Vittorio Emanuele II promulgò un decreto (n. 5903) con cui sanciva l'annessione dei territori conquistati al Regno d'Italia.[51] Evidentemente l'annessione rese nulla la Convenzione di settembre del 1867, che pure non era stata abrogata.
Nel 1867 il Parlamento del Regno, che intanto aveva trasferito la capitale a Firenze, aveva promulgato una legge che prevedeva l'incameramento dei beni mobili e immobili di conventi e monasteri in tutto il territorio del Regno e comprendeva anche il divieto per tutti i cittadini italiani di pronunciare voti. Il 13 maggio 1871 il Parlamento emanò una nuova legge che elencava i diritti della Santa Sede all'interno del Regno d'Italia. Era la «legge delle Guarentigie», un provvedimento che riconosceva il papa come sovrano indipendente, con il possesso (ma non la proprietà) dei palazzi e dei giardini del Vaticano, dei palazzi del Laterano, della cancelleria a Roma e della villa di Castel Gandolfo. Stabiliva inoltre che il governo italiano non sarebbe intervenuto nella nomina dei vescovi. Pio IX non accettò la legge, perché unilaterale, ne scomunicò gli autori e continuò a considerarsi prigioniero in Vaticano.
Prendendo atto dell'occupazione, solo il 20 settembre 1900 il successore papa Leone XIII proclamò la dissoluzione ufficiale dello Stato Pontificio. E l'occupazione sarebbe durata quasi 60 anni, in attesa di una possibile pace.
Il primo accordo ufficiale tra la Chiesa e lo Stato italiano, impossibilitato anche nel 1919 durante la conferenza di pace di Parigi, fu siglato finalmente nel 1929, quando con la firma dei Patti Lateranensi, previo concordato Italia-Santa Sede, venne creato lo Stato della Città del Vaticano, che restituì una, seppur minima, sovranità territoriale alla Santa Sede.[52]
Per approfondire, vedi Gonfalone della Chiesa. |
Vessillo con le insegne Santa Romana Chiesa usato in battaglia durante il Medioevo.
Bandiera dello Stato Pontificio prima del 1808.[53]
La Chiesa tradizionalmente usava una bandiera di colore rosso e giallo, che ricordava l'amaranto ed oro, i colori tradizionali del Senato romano (S.P.Q.R.).[54]
La prima menzione storica di una bandiera papale (una bandiera rossa con una croce bianca) risale al 1195. Nel 1204 iniziano ad apparire anche le chiavi di S. Pietro bianche. La prima immagine di una bandiera pontificia risale al 1316, e rappresenta uno stendardo allungato, a due punte, con quattro chiavi bianche attorno ad una croce. Questa disposizione è visibile nello stemma di Viterbo (e dal 1927, anche della sua provincia): già nel 1188, secondo il cronista Lancillotto, Papa Clemente III concesse al Comune il diritto di apporre tale vessillo.
Nel 1808 Papa Pio VII ordinò alla Guardia nobile e alle altre truppe di sostituire i colori rosso e giallo con il giallo e bianco; l'unica eccezione furono le truppe incorporate nell'esercito francese, sotto il comando del generale Sestio A.F. Miollis, che permise loro di continuare ad usare i vecchi colori.
La più antica bandiera bianco-gialla risale al 1824, quando fu inalberata per la prima volta dalla Marina mercantile; in essa però le bande erano poste in diagonale.[54] Fu Pio IX, tornato a Roma dopo l'esilio a Gaeta per la parentesi della Repubblica Romana, che rese le bande verticali, e vi appose anche lo stemma papale.[54]
Per approfondire, vedi Esercito dello Stato della Chiesa. |
Lo Stato Pontificio, per la sua particolare conformazione di entità statale e religiosa, ha da sempre rappresentato uno dei capisaldi della chiesa cristiano cattolica in occidente. Il cattolicesimo era dichiarato per costituzione religione di Stato e solo la sua professione di fede dava pieno godimento di tutti i diritti statali.
Fino a tutta la prima metà del XVI secolo vi erano tuttavia numerose comunità ebraiche sparse per lo Stato, fra cui si segnalavano per importanza quelle di Roma, Ancona, Ravenna, Orvieto, Viterbo, Perugia, Spoleto e Terracina. In età controriformistica una legislazione sempre più restrittiva, inaugurata durante il pontificato di Paolo IV con la bolla Cum nimis absurdum e culminata con Hebraeorum gens, spinse molti ebrei a emigrare. Durante il pontificato di Sisto V, caratterizzato da una relativa tolleranza religiosa, quattromila o cinquemila ebrei fecero ritorno nello Stato Pontificio a seguito della promulgazione della bolla Christiana pietas (1586)[55]. Ma il ripristino di una legislazione antiebraica voluta da Papa Clemente VIII con la bolla Caeca et obdurata ebbe effetti devastanti per tutti i sudditi di religione ebraica. Molte comunità sparirono (fra cui quelle di Terracina, Spoleto e Viterbo), altre si ridussero a poche decine di unità (Perugia e Ravenna). Solo a Roma (e, in minor misura, ad Ancona), sopravvisse un nucleo ebraico di una certa consistenza. Gli ebrei romani, relegati nel ghetto, dovettero tuttavia attendere l'età napoleonica per vedere riconosciuti i propri diritti che con la Restaurazione tornarono ad essere conculcati. Durante la Repubblica Romana si produsse una nuova emancipazione, che subì forti limitazioni dopo il 1849 ad opera di Pio IX, che pure agli inizi del suo pontificato aveva mostrato una certa tolleranza nei confronti dei propri sudditi israeliti. Con l'annessione dello Stato Pontificio al Regno d'Italia (1870) gli ebrei tornarono nuovamente a godere di pieni diritti civili.
Idioma ufficiale dello Stato Pontificio era il latino, in cui venivano redatte le pubblicazioni ufficiali e istituzionali, ma non parlata usualmente nello Stato. Il latino fu anche molto utilizzato come lingua veicolare dalle gerarchie ecclesiastiche in epoca medievale, per essere in età moderna gradualmente sostituito dall'italiano. In italiano veniva impartita l'istruzione elementare, che era obbligatoria e gratuita per tutti i bambini dello Stato. La popolazione, tuttavia, parlava abitualmente dialetti locali: il romanesco, il ciociaro, il sabino, i dialetti dei Castelli Romani, i dialetti umbri (perugino, altotiberino, ecc.), i dialetti marchigiani, il bolognese, il romagnolo. Vi erano inoltre delle minoranze parlanti dialetti campani a Benevento (dialetto beneventano) e Pontecorvo (ancor oggi compresa nell'area linguistica meridionale). Ad Avignone, città pontificia per quasi cinque secoli, la lingua più diffusa fra le classi popolari e la borghesia minuta era una varietà dell'occitano, il provenzale mentre nell'aristocrazia, nell'alta borghesia e fra gli uomini di cultura era frequente il bilinguismo (francese e provenzale) e, nel caso di cittadini legati alla Curia, anche il trilinguismo (provenzale, francese e italiano).
Elenco dei papi che hanno governato lo Stato. Il secondo numero indica il loro ordine all'interno dell'elenco cronologico generale di tutti i papi.